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1720 il Conte Girolamo Gabrielli di Gubbio visita le “Grotte di Monte Cucco” : Buio Verticale Gruppo Speleologico C.A.I. Gubbio
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il territorio intorno Gubbio in una mappa dell'epoca

il territorio intorno a Gubbio e al Monte Cucco  in una mappa dello Stato Pontificio del 1763

In una lettera del 1745 all’Abate Giambattista Passeri, il Conte Girolamo Gabrielli (1688-1747) di Gubbio descrive ciò che osservò nelle Grotte di Monte Cucco durante la sua visita del 1720.

Di seguito riportiamo la trascrizione di questa lettera tratta dal libro: “DELLA STORIA DE’ FOSSILI NELL’AGRO PESARESE E D’ALTRI LUOGHI VICINI” del Signor Abate Giambattista Passeri, Bologna 1775 (pagg. 163-168, trascrizione Mirko Berardi)

“Io era fin da fanciullo prevenuto delle gran meraviglie racchiuse nelle sotterranee spelonche del nostro Monte Cucco, che è il più alto fra i nostri Appennini, che s’inalzano tra questa nostra Città di Gubbio, e la Schieggia, dove fu trovata negli anni addietro un’antica basetta di marmo di un qualche donario coll’iscrizione di Giove Appennino, che dallo studio del Signor Franciarini passò in quello dell’incomparabile Signor Marchese Maffei, onde si argomentò, che facilmente quel Monte a Giove Appennino fosse dedicato, o vi avesse in cima qualche ara aperta, come sul Monte Olimpo, ed in altri.

Queste Grotte al dir delle nostre Vecchierelle erano un albergo di Fate, ed un aggregato di Tesori; ma nell’età mia più grave mi venne in pensiere, che in vece di queste favole, avrei potuto discoprire qualche meraviglia della natura.

Accintomi all’impresa con una numerosa comitiva di uomini risoluti, forniti di torcie, e fanali, e di buonissimi canapi, già son venticinque anni, m’incaminai a quella volta. Giunti con buona guida a quel Monte, che sorge a forma di cono, un pezzo in sù trovammo l’ingresso di quella sotterranea provincia, val a dire una bocca quasi di pozzo non molto larga, e che discende quasi per settanta cubiti, poco meno che a perpendicolo. I nostri condottieri discesero i primi, ed io cogli altri ad uno per volta li seguitammo.

In fin della scesa ci trovammo in un vastissimo antro, il quale da ogni parte si diramava in altre Grotte di diverse figure, e grandezze, siccome era piaciuto al caso. Quì con mia meraviglia trovai il piatto tutto uguale, e comodissimo a camminarlo, onde avanzatici avanti, osservassimo, che questa Grotta talora era così vasta, e la sua sommità così remota da noi, che per quanto unissimo insieme tutte le nostre fiaccole per farne un sol lume unito, appena per un barlume ne scoprimmo la sommità; ed a me parve, che in qualche luogo il vano non fosse minore della cupola di S. Pietro in Vaticano.

Le pareti che si andavano in sù restringendo, eran formate colla solita legge naturale degli strati, e quello che più mirabile mi sembrò, non viddi luogo veruno il minimo intoppo di materia caduta dall’alto, che impedisse il libero transito. Camminando quà, e là per forse un miglio, e quel che sembra incredibile, sempre per piano. Per fianco osservassimo molte diramazioni di Grotte della medesima sterminatezza, e queste ancora camminavano in piano, e se in qualche luogo si saliva alquanto, ben presto si ritornava al livello di prima: ma questo, che fu veduto da noi, non era che un vestibolo di altre Grotte inferiori, poichè osservassimo alcune voragini tanto profonde, che a gettarvi de’ sassi si sentivano rotare per lunga pezza giù per le balze di quelle aperture.

Le nostre guide pratiche del luogo ci riferirono esser fama tra loro, che in altri tempi altri più risoluti di noi penetrati fossero ancor laggiù, e che avessero trovato non solo un altro piano di Grotte egualmente sterminate, ma altre voragini, che forse conducevano a un terzo piano.

Un’altra cosa maravigliosa io vi osservai, e fu l’essere tutto quel grandissimo spazio perfettamente asciutto, a riserva che in un luogo usciva dalle fessure della parete un piccol filetto d’acqua, che andava poi a perdersi frale gretole del lato opposto; quando all’incontro io mi credeva, che le acque delle quali il Monte abbonda nella sua superficie, penetrassero nelle viscere, e vi formassero laghi.

Ma bisogna dire, che nella natura la cosa non vada così, e che regolarmente verso il centro de’ monti le acque non giungano; ed appunto ho sentito, che altre simili Grotte sian parimenti asciuttissime. Un pezzo addentro trovammo un monticello formato di candidissimo Alabastro, e molti altri corpi a guisa di cilindri, o coni acuti sorgevano sù dal terreno, o spuntavano fuori delle pareti tutti candidi, e trasparenti, talora ramosi, o bernoccoluti.

Alcuni di questi corpi erano di sterminata grandezza, e sembravano colonne grossolane, ma che con non molto lavoro si sarebbon ridotte alla regola dell’arte. Ne rompemmo alquanti de’ più piccoli, e tutti li trovammo da capo a piè alquanto bucati, ed il loro corpo consisteva in parecchie fascie di alabastro, che si avvolgeva attorno a quel piccol canale del centro. Ne conservo ancora alcuni pochi, che vi mando, perchè gli osserviate cogli occhi vostri, ed in questa occasione volentieri mi privo anche d’un altro pezzo, che vi trovai, il qual rappresenta un bel torso di Statua.

Le pareti erano per lo più vestite d’una intonacatura più opaca, ma tutta bernoccolata, e rappresentante tanti grappi d’uva, e di questa sorte ancora ve ne mando una mostra, che voi vedrete esser composta d’un alabastro più impuro, ed opaco, lavorato anch’esso a falda sopra falda, che non può essere lavoro d’acqua, che quì non è, ma che ha tirato il suo nutrimento dal macigno, come tutto il resto di quei cilindri marmorei. Di questi però dall’alto della volta non ne pende veruno. Vidi in qualche luogo sterminati massi della più limpida pasta distribuiti dal caso con tale economia, che rapresentavano le più belle Fontane rustiche de’ Giardini. Altri pezzi sembrano Statue grossolane, e che facilmente coll’adattar loro un disegno adeguato si ridurebbero a perfezione, e dietro a queste ponendo un lume, osservassimo che trasparivano.

Nel veder io tanta abbondanza di questa materia, non potete credere, Illustre Amico, quanti castelli in aria io feci. Avrei voluto tornarvi con provisione da potervi stanziare più giorni, e qui con agio cavarne la pianta, e segnarne le misure, e portatele poi sulla superficie del Monte, osservar da che parte fosse più comodo l’aprir un varco col beneficio delle mine, da poter poi con agio tirarne fuori que’ massi. Ma per allora secondando il corto disegno col quale ero entrato, me ne uscii; ed il desiderio di ritornarvi, siccome accade, procrastinato, non fu eseguito mai più.

Oh quante considerazioni mi eccitò nella mente una vista così strana in considerando in qual modo potesse aver la natura formato queste grandi aperture dentro d’un monte. Osservassimo con diligenza dapertutto se v’era orma di miniera, e concludemmo che nò. Cercammo se in alcun luogo si vedesse opera d’umano lavoro, e neppur questo ci venne fatto di osservare: ond’io per me conclusi, che la stessa provida natura per far isventare al di fuori que’ fiati racchiusi, avesse spalancato quello spiraglio, per lo quale scendemmo; nè avrei saputo spiegare altrimenti l’esistenza di queste gran cavità, se non che seguendo l’opinion vostra, che parecchie montagne essendo balzate su dal pian della terra, lasciando sotto di loro immensi vani, in questi sian cadute di nuovo in una, in due, in più volte molte falde, o piani di quella materia, la quale precipitando alla peggio, abbia poi lasciato su que’ vani, che vi ho descritto. Con questa stessa legge saranno stati formati quelli, che voi mi dite trovarli in tutti i gran Monti, tra’ quali mi ricordo di aver letto, che ve ne sia uno in Creta, chiamato volgarmente Laberinto.

Ma che direm delle tante favole, che si raccontano delle Grotte di Monte Cucco? Vogliam noi dire, che abbiano avuto qualche origin dal vero? Se mi permettete che io v’esponga un mio sospetto, dirò, che se gli antichi ebbero cognizione di questi recessi, ch’io per me non ne dubito, credo per certo, che se ne saranno serviti per alcuno di que’ loro misteri occulti, che sotto terra, e per le grotte celebravano. Che se così fu, com’è verisimile, ecco subito un appoggio, remoto sì, e confuso per quelle tradizioni, che sformate col tratto dell’età secondo il gusto successivo de’ tempi, hanno poi dato occasione a quei racconti di cose prodigiose che se ne narrano.”

One Response so far.

  1. Mauro Mattei ha detto:

    proprio bella….grazie Mirko

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