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Storie e leggende delle Grotte del Parco del Monte Cucco : Buio Verticale Gruppo Speleologico C.A.I. Gubbio
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Foto Mirko berardi

Foto Mirko berardi

di Euro PULETTI e Federico SMACCHI, 1997,

Parco del Monte Cucco: storie e leggende delle grotte. In “Il Grifo Bianco”, Sigillo, pp. 72-77.

I molteplici fenomeni carsici, che costituiscono la specificità maggiormente caratterizzante il massiccio montuoso che fa capo al Monte Cucco, furono, per secoli, ravvolti da un alone di mistero. E, il mistero, stimolò, al tal punto, la fantasia degli uomini che frequentavano abitualmente la montagna da far sì che essi concepissero numerose storie e leggende.

La più parte di questi racconti fantastici, affidati alla sola tradizione orale popolare, è andata purtroppo perduta. Di altri non ci è giunta che un’eco flebile, intermittente ed indistinta.

Una testimonianza di questo patrimonio perdutosi per sempre ci è fornita dal conte Girolamo Gabrielli di Gubbio, il quale, nel resoconto di una delle prime esplorazioni della Grotta di Monte Cucco (secolo XVIII), così scriveva in proposito: “Queste grotte, al dir delle nostre vecchierelle, erano un albergo di Fate ed un aggregato di tesori…”.

Successivamente, anche Giambattista Miliani, il primo esploratore scientifico di tali grotte, accenna ad alcune delle storie di un’altra importante cavità del Monte Cucco: Bocca Nera. Così annotava, infatti, tra il 1890 e il 1892, il Miliani: “Piuttosto può attirare l’attenzione – perché è in vista e per qualcuna delle solite leggende che vi si ricamano attorno – una larga apertura […] che […] ha il nome assai efficace e fantastico di “Bocca Nera”. E Bocca Nera esercitò su me così potente il suo fascino, che, quantunque all’aspetto come al nome sia tutt’altro che incoraggiante, decisi di calarmivi dentro e vedere se inghiottisse anche me, come i cani e le pecore che dicono sianvi precipitati”.

In una delle poche storie rimaste ancora vive nella tradizione orale popolare delle nostre genti appenniniche si narra di un tesoro riposto nella grotta da taluni guerrieri alcuni giorni prima di una battaglia. Disegnata la mappa, tali combattenti andarono a guerreggiare e, sfortunatamente, morirono tutti. Pare che qualcuno, questo tesoro, l’abbia effettivamente cercato.

Sempre nella famosa Grotta, secondo un’antica leggenda del paese di Sigillo, ambientata in epoca romana, per conservare la libertà minacciata dai Romani, si sarebbero rifugiati ben duemila sigillani (probabilmente gli umbri suillates). Venuti a conoscenza di questa fuga di massa, i Romani avrebbero raggiunto la grotta e, accendendo dei fuochi attorno alla bocca della cavità, avrebbero fatto perire tutti con spaventose “fumate”.

Secondo un’altra tradizione orale popolare, nella medesima Grotta sarebbe stato gettato un gatto. Dopo un certo periodo di tempo, il felino sarebbe stato ritrovato, vivo e vegeto, nei pressi del paese di Villa Scirca, alle falde occidentali del Monte Cucco.

Alcune credenze popolari vogliono, poi, che la “Buga de Monte Cucco” (questo è il nome tradizionale della gran cavità carsica) si sia formata a causa di fenomeni vulcanici. Taluni ritengono, infatti, che, nel passato più remoto, Monte Cucco fosse un vulcano, o, come dicono altri nel settore marchigiano dello stesso massiccio montuoso (San Felice), un “gran vessuvio”. Altri ancora ritengono che le onde sismiche, trasmesse dai terremoti, che, periodicamente, colpiscono l’area di Monte Cucco, attraversando la Grotta vengano smorzate e fatte “sfogare” dalle più grandi aperture di questa.

Qui, infatti, esse troverebbero ampio “sfogo”, giungendo, poi, assai attenuate, fino agli abitati distesi alla base del gruppo montuoso. Non di credenze sui fenomeni meteorologici si tratta, dunque, ma, più propriamente, di “teorie” popolari sulla formazione della Grotta e sulla dinamica dei terremoti che colpiscono le zone limitrofe alla stessa.

Sempre sul Monte Cucco, ma in una grotta diversa dalla principale, l’Inghiottitoio Fossile, già denominato Tana del Lupo (N. Cat. 352 U / PG), si sarebbero rintanati numerosi Lupi. Tali animali abitavano (secondo la tradizione orale popolare), in gran numero, l’area circostante alla grotta, un bosco di faggi che costituisce uno fra i più interessanti lembi di vegetazione arborea sommitale del Monte Cucco: “Il Boschetto”.

Lungo il versante occidentale della montagna si apre un vasto androne denominato Grotta de Sant’Agnese (N. Cat. 79 U / PG). La suggestiva cavità carsica presenta, al suolo, resti di muri a secco, costituiti da pietre acconce. La tradizione orale popolare di Costacciaro vuole che l’antro servisse da eremitico rifugio ad un’enigmatica Sant’Agnese di Costacciaro, della quale rimarrebbe, insolita reliquia, una treccia pietrificata. Nella grotta, tale “santa” della pietà popolare si sarebbe periodicamente ritirata a “fare penitenza”, nonostante l’esplicito divieto del padre in questo senso.

Quest’ultimo avrebbe, inoltre, reagito violentemente alla disubbidienza della figlia, sottoponendola ad un terribile supplizio. Per vendicarsi di quanto era avvenuto, diretta conseguenza di una soffiata fatta al padre da un pastore, ella avrebbe, allora, tramutato quest’ultimo in una statua di pietra. Il pastore pietrificato con l’intero suo gregge ed il cane vengono tuttora identificati, dai più anziani montanari, con una locale formazione rocciosa: “Le Pecore Tarmìte”.

Sul Monte Le Gronde esiste la grotta del Beato Tomasso. È tradizione che in questa breve cavità, e nell’area ad essa circostante, abbia condotto vita eremitica il Beato Tomasso da Costacciaro (1262 – 1337) per lo spazio di 45 o, forse, 65 anni. L’area circostante alla grotta è denominata, tuttora, “Il Beato”.

Si racconta anche che questa zona venisse abitata, per un certo qual tempo, da San Girolamo, il dalmata santo e dottore della Chiesa del secolo V. Stando ad un’antichissima leggenda, infatti, Girolamo si sarebbe nascosto in alcune delle grotte ed anfrattuosità rocciose presenti in quest’area defilata, allo scopo di sottrarsi alla persecuzione dei sacerdoti romani che egli aveva veementemente attaccato per la loro mancanza di rettitudine.

Sempre nell’area del “Beato” si sarebbero attestati anche alcuni ladri che, a quanto si è scritto, battevano vi moneta falsa e avevano preso di mira l’eremo ed i suoi beni. Sempre nel più scosceso versante orientale del Monte Le Gronde, che guarda la Forra di Rio Freddo, si sarebbero rifugiati alcuni ladri e malfattori, nascondendosi all’interno di due androni denominati “Candi Picci”, dove avrebbero artificialmente praticato alcune cavità (che i locali chiamano, tuttora, “tazze”) nella viva roccia calcarea.

Nello stesso versante orientale della montagna si aprirebbe una grotta (probabilmente un inghiottitoio attivo), denominata Grotta Bielàcqua, o Grotta Bevilacqua. L’origine di tale denominazione risiederebbe nel fatto che tale presunto inghiottitoio capterebbe le acque ruscellanti, conseguenti a periodi di intense precipitazioni.

Sul Monte Catria, a 1000 metri di quota, “si spalanca” un suggestivo androne: la Grotta della Valle del Sasso (N. Cat. 196 U / PG). In essa si sarebbero rifugiati taluni ladri, con tutta la loro refurtiva, e avrebbero vissuto alcuni “fabbri” (forse battitori di monete false). Nella grotta esiste un sifone naturale carsico che fornì, ininterrottamente, l’acqua ai pastori e alle capre, consentendo, inoltre, che, eccezionalmente in una cavità d’accesso assai scomodo come questa, si potessero costruire alcune carbonaie.

Poco oltre l’ingresso della cavità emerge appena, dal suolo, un allineamento di pietre acconce, possibile resto di un muro a secco, destinato a chiuderne, almeno parzialmente, l’accesso. Si crede che questa grotta abbia delle notevoli prosecuzioni, grazie alle quali sia possibile raggiungere nientemeno che le montagne prossime alla città di Cagli.

Sul Monte Forcello di Scheggia esiste la Grotta dei Rifugiati (N. Cat. 288 U / PG), o, con denominazione tradizionale: Il Pozzo dei Sodi. Nel suo ingresso, a sviluppo verticale, secondo la tradizione orale popolare del paesino denominato La Pezza di Scheggia, sarebbe stato gettato un gatto che, qualche tempo dopo, si sarebbe visto circolare, come niente fosse, nelle vicinanze della frazione di Ponte Calcara, o, meglio, Ponte Valìa, alle falde meridionali del Monte Forcello, in una località coltivata che, successivamente, proprio in seguito a questo curioso episodio, sarebbe stata denominata “Campi Gatto”, cioè ‘campo del gatto’.

Bibliografia essenzialmente consultata

1 Cfr. G. Gabrielli, Lettera a Passeri (“La Grotta di Monte Cucco”), in Storia di Costacciaro (Castrum Costacciarii), Tipolitografia Rubini e Petruzzi, Città di Castello, 1984, p. 127.
2 Cfr. G.B. Miliani, La Caverna di Monte Cucco, Bollettino C.A.I., n. 58, vol. XXV, 1891, pp. 302 – 303.
3 Cfr. M. Spigarelli, Leggenda e Realtà, in “Il Grifo Bianco”, Sigillo, festa di S. Anna 1991, pp. 56 – 60.
4 Cfr. G. Pellegrini, La Caverna del Monte Cucco, in “Il Grifo Bianco”, Sigillo festa di S. Anna 1992, p. 56.
5 Cfr. E. Puletti, L’eremo di Monte Cucco: Toponimi, aneddoti e curiosità, in “L’Eco del Serrasanta”, Anno VII – n. 4 – 20/02/1994, p. 11.
6 Cfr. D. Bartoletti, L’Eremo di Montecucco. La civiltà eremitica e monastica sull’Appennino dell’Alta Umbria, Tipografia Donati, Gubbio, 1987, p. 31.

3 Responses so far.

  1. Mauro Mattei ha detto:

    Grazie Euro, grazie Federico….fantastiche e interessantissime perle dei nostri monti e delle nostre cavità….spero, speriamo di ospitare tanti altri racconti sul nostro sito….
    GRAZIE

    • Euro Puletti ha detto:

      Grazie, Mauro, io, purtroppo, sono riuscito ad infilare solo poche di queste “perle dei nostri monti e delle nostre cavità” per farne una collana da regalare alle generazioni future… La grande, splendida ed unica collana d’un tempo, infatti, quella della nostra antichissima tradizione orale popolare, si è, ahimè, strappata e la maggior parte delle sue candide e preziose perle, forse le più belle di tutte, sono andate irrimediabilmente perdute… rimpiango i grandi vecchi della nostra terra, dai quali ho avuto quelle conoscenze: Adelelmo di Coldipeccio, Fiorenzo e Bastiano di Pascelupo, ecc., ecc., ecc.

      • Mauro Mattei ha detto:

        ciao Euro…si, concordo quelle belle persone…mi affascinavano sentirle parlare, nn solo dei loro vecchi ricordi, ma anche della loro routin giornaliera…Adelelmo (zio Delelmo “fischietto per mio padre e me”, fratello di mio nonno Ubaldo), Nonno Fiorenzo (quello che mi ha trasmesso l’amore per questa terra e per i suoi monti, Bastiano, che ogni volta mi intratteneva ad ascoltarlo seduto sulla panca fuori casa sua fumando la sua pipa e raccontandomi anche della sua storia di guerra tarsosa in parte tra la Jugoslavia e l’albania, perchè avevo visto e vissuto, nel periodo del mio militare gli stessi posti…Loro sono gelosamente costuditi nei miei ricordi…

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